Indice dei contenuti
[Strofa 1]
Io l’ho fatto per proteggermi perché pensavo
Che avrei vissuto con i traumi come un veterano
Così da quando ho cominciato a far tacere il pathos
La vita è una corsa che non pago, Ajeje Brazorf
Vedo un corpo dilaniato dentro questa foto
Diventa solo un ammasso di pixel
Ho il volto inespressivo pure senza botox
Non provo niente, né affranto né triste
Corro a casa a farne un meme, mi sento in ritardo
Non è comicità ma un riflesso di Pavlov
Il cuore non lo metto nel petto di un altro
L’empatia è un atto violento e difetto in coraggio
Sopprimo ogni emozione e tutto andrà liscio
Vuoto sintezoide come White Vision
La luna è solo un sasso che si fa grigio
E spero che scompaia al mattino
[Ritornello 1]
Mamma, ho sepolto pathos in pancia
Ora la ragione è il mio rottweiler da guardia
E guarda, non fa più una grinza la faccia
Si confonde tra quelle dell’Isla de Pascua
Viaggio fuori dalla pathosfera
Sto andando fuori dalla pathosfera
Troppi asteroidi nella pathosfera
Fanno: “Thud! Thud! Thud! Thud! Thud!”
Mamma, ho sepolto pathos in pancia
Ora la ragione è il mio rottweiler da guardia
E guarda, non fa più una grinza la faccia
Si confonde tra quelle dell’Isla de Pascua
Viaggio fuori dalla pathosfera
Sto andando fuori dalla pathosfera
Troppi asteroidi nella pathosfera
Fanno: “Thud! Thud! Thud! Thud! Thud!”
[Strofa 2]
È il suono della fede che si sfalda
Io zitto e fermo come la guardia con l’alabarda
La mia famiglia era una montagna, Nanga Parbat
La parete frana e già mi manca l’aria
È per cavarmela che soffoco la rabbia
Sono quello fredddo della ganga, Dottor Manhattan
È per salvare la pelle che mi strappo di dosso l’alma
E finirò nel manicomio ad Arkham
È per difendermi dall’odio che ho letto in certi commenti
Vomitati con due dita come da ubriaco
È per un male che ha ridotto gli amici e i parenti a pezzi
Serviva distacco a ricomporre il puzzle
Tengo i miei battiti nascosti nella tasca
E mi viene l’ansia, come coi cani a Malpensa
Quando perdi la fiducia nell’umanità è un attimo che perdi la tua umanità stessa
[Ritornello 1]
(ripetuto)
[Strofa 3]
E adesso che la tenebra non penetra nella corazza
Non riesco a riconoscere la luce, ho perso la mia fiamma
Perché la vita va affrontata
Un tempo ridevo fino a strozzarmi
Un tempo piangevo come una fontana
Ora ho sorrisi falsi
Applaudo sfiorando i palmi dalla balconata
Gli occhi prosciugati come il lago d’Aral
Non voglio ritrovarmi dentro il camposanto
Come se fossi marmo dietro un altro marmo
Ho paura che stia diventando automa, cyborg
Ma se ho questa paura sono ancora salvo
Sa, sa, prova
Sa, sa, prova
Prova
[Ritornello 2]
Mamma, sta tornando pathos a galla
Scava dentro me che pare un tarlo, una talpa
E danza, dentro la mia pancia, farfalla
Piano piano sta ridando sangue a un fantasma
Voglio tornare nella pathosfera
Passare i giorni nella pathosfera
Anche se i colpi nella pathosfera
Fanno: “Thud! Thud! Thud! Thud! Thud!”
INTERPRETAZIONE DEL BRANO
L’anestesia emotiva come meccanismo di difesa
“Pathosfera” affronta il tema della dissociazione emotiva vista come una forma di autodifesa. Caparezza interpreta un personaggio che, per fronteggiare traumi e dolore, sceglie di soffocare completamente il proprio pathos. Le emozioni diventano un rischio, qualcosa da contenere e mettere a tacere come si farebbe con un animale aggressivo. La ragione si trasforma così in un “rottweiler da guardia”, fedele ma feroce, che impedisce al protagonista di sentire per non soffrire. Tuttavia, questo processo, pur nato come protezione, porta presto a un progressivo svuotamento interiore.
La disumanizzazione come conseguenza del trauma
La prima strofa presenta il mondo visto con occhi anestetizzati: un cadavere diventa solo pixel, il dolore altrui è un meme, l’empatia è percepita come un atto troppo faticoso. Il protagonista si identifica con figure artificiali o emotivamente inesistenti (White Vision, cyborg, automi). L’immaginario è freddo, robotico, e trasmette la sensazione di un essere umano costretto a rinunciare alla propria sensibilità per resistere alla pressione della vita. È un torpore spirituale costruito come riparo dagli urti del mondo.
Il peso dei traumi familiari e sociali
Nella seconda strofa Caparezza entra nel cuore delle ferite: la fede che si sgretola, la famiglia che crolla come una montagna che frana, l’odio incontrato online, le perdite di amici e parenti. L’immagine dei commenti “vomitati con due dita” sottolinea il disgusto verso l’aggressività digitale. Il protagonista ammette che per sopravvivere ha dovuto sopprimere la rabbia e il dolore, diventando “freddo come Dottor Manhattan”. Ma questa freddezza è un’arma a doppio taglio: protegge, ma isola. E soprattutto erode l’umanità. La frase “quando perdi la fiducia nell’umanità è un attimo che perdi la tua umanità stessa” è il cuore concettuale dell’intero brano.
La corazza emotiva come prigione
Nella terza strofa, Caparezza descrive la fase successiva: dopo aver costruito una corazza impermeabile alla sofferenza, il protagonista si accorge di non riuscire più nemmeno a percepire la luce. Ha perso la “fiamma” interiore che lo guidava. Non riesce a ridere né a piangere, e i suoi sorrisi sono “falsi”. L’immagine del lago d’Aral — un tempo immenso, poi quasi completamente prosciugato — è una metafora potentissima della sua vitalità interiore evaporata. Qui emerge la paura di diventare definitivamente un automa. Ma la paura è essa stessa una emozione: quindi è il segnale che non tutto è perduto.
Il ritorno del pathos e la rinascita emotiva
Il ritornello finale introduce un cambiamento: il pathos “torna a galla”. È un ritorno che non avviene con esplosioni ma scavando, lentamente, come un tarlo o una talpa. Le emozioni riemergono sotto forma di farfalla nello stomaco, segno di vita fragile ma reale. Il protagonista sente che il fantasma dentro di sé sta tornando “a sanguinare”, cioè a vivere. Decide quindi di rientrare nella “pathosfera” — il mondo delle emozioni vere — nonostante i colpi dolorosi che inevitabilmente comporta. Perché solo provando dolore si può anche provare gioia, amore, empatia. Solo sentendo si è vivi.



